Via A. Diaz, via M. D’Otranto, via Don Bosco, piazzale Ridiae, via Acquaviva, viale Grassi e dintorni.
Dalla quantità di nomi di strade inclusi nel titolo, si capisce che Lecce non è stata una tappa facile. E comunque ne mancano molti di nomi ma a segnalarceli ci hanno pensato i cartelli all’ingresso delle vie limitrofe, come quello nella foto. Conseguenza di questi cartelli è che le ragazze si sono spostate “una stradina più in là” e gli abitanti della zona non ne hanno certo tratto beneficio. Alcuni di questi stessi abitanti però mi ha raccontato che in qualche modo a qualcosa sono serviti; una signora mi dice che prima dei cartelli i clienti andavano a bussare a casa sua ogni tanto, scambiandola per una delle tante case di Lecce in cui si pratica la prostituzione in-door; un’altra mi dice che una volta è stata fermata da un protettore che, scambiandola per una delle sue protette, le ha chiesto cosa ci facesse lì. Già.
Salta fuori quindi che a Lecce è possibile che anche qualche casalinga e parecchie studentesse si dedichino alla prostituzione in-door.
Out-door invece troviamo soprattutto ragazze di origini africane che passeggiano tra le vie, sotto i balconi e accanto alle villette, in periferia o in pieno centro, appoggiate a un albero o sul ciglio della strada, uscendo da Lecce.
Il risultato dei sei giorni passati qui è che il fenomeno è fuori controllo, e paradossalmente è diventato latente e remoto nelle vite dei leccesi.
Vado via con molte domande e con ben poche risposte. Credetemi se dico che Lecce mi ha fatto soffrire. La preparazione del lavoro è stata faticosa; giravamo col furgone per le strade senza riuscire ad afferrarne il senso, senza che queste ci restituissero una eco del nostro girovagare, come se passando per una via la prostituzione fosse sempre una via più in là e poi svoltando l’angolo, ancora continuasse a sfuggirci. Eppure c’era.
Di solito, come attrice, la strada mi restituisce moltissimo del lavoro che dedico alla ricerca del senso di ciò che sto facendo. Da Lecce, invece, vado via con una sensazione di confusione così come sento confusi i pensieri che cerco di ordinare e queste righe mentre le sto scrivendo. Ma a posteriori mi sono fatta l’idea che per quanto riguarda lo sfruttamento della prostituzione, a Lecce la domanda da parte della clientela sia altissima e la situazione di sfruttamento drammatica, . A partire da quei cartelli comunali, e poi dalle notizie confuse riferiteci dal pubblico, nonché abitanti di Lecce, confusi loro stessi e con una amarezza negli occhi forse dovuta al fatto che anche loro non riescono a catalogare il fenomeno nella vita quotidiana perché anche a loro sfugge; se lo vedono passare sotto casa; affacciare alle finestre; lo sentono bussare alle loro porte, ma non sanno come relazionarsi a questo fantasma.
Le ragazze poi, inavvicinabili. Lo stesso operatore sociale dell’associazione “Atuttotenda” che ci ha guidato per le strade, dice che è molto difficile stabilire un contatto con loro.
E’ strano, ma qui la schiavitù sembra così lontana perché in realtà questi cartelli più che interdire sembrano indicare un fenomeno di emarginazione, ottenendo un effetto da lente di ingrandimento.
Ho avuto l’impressione, comunque, che la nostra Medea, se non altro, abbia lanciato un segnale positivo o almeno spero. E cioè la possibilità di parlarne; moltissimi del pubblico hanno voluto trattenersi alla fine di ogni replica per fare domande e ascoltare risposte. E poi li vedevi restare lì fuori ancora a discutere, segno che il bisogno di fare chiarezza c’è e anche la necessità di confrontarsi. Molto incuriositi dagli opuscoli di Casa Raab, Associazione “Atuttotenda”, che ringrazio e che credo abbia fatto sorgere nel pubblico un po’ di volontà di intervento, anche in termini umani. Anche questo lo spero.
Invece vado via con un bellissimo ricordo dei “Cantieri Teatrali Koreja” che ci hanno ospitato all’interno del festival “Alle radici dei gesti” e nella impeccabile struttura del teatro all’estrema periferia. Complimenti al team di lavoratori. Davvero una sensazione di straniamento passare dal bellissimo contesto culturale berlinese dei Cantieri Koreja al deserto di confusione appena fuori la soglia della porta, dove un campo di grano e spazzatura faceva da cornice alla rumorosa partenza del furgone che ogni sera si annunciava, desideroso di risposte.
Per adesso, nel mio diario di viaggio, segno così:
Lecce: da approfondire.
Elena Cotugno