Statale 11
Siamo ospiti a Verona nel circuito ARTEVEN – Associazione Regionale per la promozione e la diffusione del Teatro e della Cultura delle Comunità Venete.
Grazie a loro otteniamo il contatto dell’Ufficio Accoglienza del Comune dove ci interfacciamo con Vittorio Zanon, assistente sociale specialista presso l’Ufficio Accoglienza dove è referente operativo del Progetto NAVE Network Antitratta per il Veneto, progetto attivo dal 2000 con azioni di intervento sulla tratta e la prostituzione. Il Veneto è la prima regione italiana per presenza di cittadini nigeriani residenti, mentre Verona è la quarta città d’Italia (dopo Torino, Roma e Padova).
Il lavoro dell’Ufficio Accoglienza negli ultimi anni si è concentrato sull’attuazione di nuove strategie di accoglienza e tutela per i minori non accompagnati, dal momento che, come purtroppo sentiamo dire in ogni città, il numero dei minori, soprattutto di origini nigeriane, è aumentato dal 2014 al 2018 . Pare che sia ormai così ovunque, cioè che ovunque il numero delle minorenni vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale sia salito.
“Oggi, il parametro che stabilisce chi è minorenne e chi no, non è più facilmente definibile” dice Vittorio, “considerando anche che spesso è molto difficile effettuare una reale anamnesi di una vittima di tratta, perché difficilmente ti dirà il suo vero nome, cognome, data e luogo di nascita. Questo rende naturalmente anche gli interventi più complicati e richiede all’assistente sociale maggiore flessibilità nel trattare i vari casi”.
Siamo in gennaio e solo da un paio di mesi è entrato in vigore il decreto sicurezza. Poi successivamente è successo che i porti sono stati chiusi ed è cambiata anche la regolamentazione per gli Sprar e i Centri di prima accoglienza che non potranno più accogliere i richiedenti asilo ma soltanto minori non accompagnati e chi ha già ricevuto la protezione internazionale.
Soltanto un paio di settimane prima avrei dovuto incontrare i nostri amici della Cooperativa Oasi2 di Trani, ma al telefono la responsabile era stata costretta a rimandare l’incontro perché proprio quella mattina l’ufficio era in subbuglio.
“Adesso dobbiamo capire che ne sarà dei nostri centri di accoglienza” aveva detto “Abbiamo i fondi stanziati per i progetti ancora in corso, ma i posti sono vuoti. Non arriva più nessuno”.
E cosa succederà adesso? Chiedo io.
“Non so. So solo che tante persone si ritroveranno per strada, fomentando il sentimento di paura e diffidenza che stanno già alimentando così bene con lo scopo di rafforzare e giustificare gli interventi delle forze dell’ordine. Come sempre sarà l’ignoranza a generare la paura.” E poi aggiunge “Oggi pomeriggio siamo a Bari di fronte alla Prefettura a protestare.”
In effetti l’aria che tira in questi giorni è tutt’altro che serena. Non riesco ancora a vederci chiaro in questa storia ed esprimo le mie perplessità a Vittorio. Lui, intanto mi consiglia di leggere “Confessioni di un trafficante di uomini” di Andrea Di Nicola e Gianpaolo Musumeci, poi si offre di usare la sua auto per andare a fare il sopralluogo delle strade. Passiamo a prendere Silvia, operatrice di strada all’interno del progetto NAVE Network Antitratta.
Sono circa le 21.00 e procacciarci del cibo non è semplice nella periferia veronese: è quasi tutto praticamente serrato. Troviamo una pizzeria aperta, siamo gli unici clienti, ci sediamo.
Soltanto due settimane dopo sarò a Napoli e come sempre, a seconda del luogo geografico in cui mi trovo, osservare le differenze nella maniera emotiva con cui gli assistenti sociali affrontano il racconto del loro quotidiano è sempre come scoprire un giardino segreto. Mi fa capire molte cose della cultura e della mentalità del luogo, e anche tante altre su come queste cambiano tra nord e sud.
Ma Vittorio e Silvia mi invitano nel loro giardino e sono molto ospitali. Nonostante i loro discorsi e la loro terminologia siano di carattere tecnico, a volte anche troppo per chi non è del mestiere, sono molto accoglienti e lo sguardo comunica tanta più emozione delle parole; questa combinazione mi incuriosisce e mi commuove.
“Si, è vero, dopo la chiusura dei porti gli sbarchi sono calati drasticamente” dice Vittorio, “e qualcuno potrebbe pensare che di conseguenza per noi la situazione è molto più gestibile dovendoci occupare di un numero minore di persone. E da un lato è vero. Usando la logica si potrebbe dedurre che meno persone vuol dire più tempo, più risorse, più qualità per ognuno di loro.” Ecco, dico io, e dov’è il rovescio della medaglia? “Beh, intanto è vero che c’è una riduzione della tratta, ma non della prostituzione. Questo perché chiudendo i porti non vuol dire che non trovino il modo di far arrivare le ragazze lo stesso. Per esempio due ragazze sono arrivate qui dopo essere sbarcate in Spagna con l’Aquarius; se non è via mare può essere via terra no? Con l’aggravante che chi arriva per altre vie può farlo clandestinamente e questo vuol dire che il fenomeno di schiavitù sessuale è meno controllato, le vittime non risultano da nessuna parte e di conseguenza non vengono inserite in nessun programma di recupero. Diciamo che la criminalità legata alla tratta e alla prostituzione agisce in maniera indisturbata. Inoltre, vietando gli approdi nei porti ci sarà un sostanziale aumento delle morti in mare, cosa che si sta già verificando. Poi continua: “Dopo il decreto sicurezza, i richiedenti asilo sono diminuiti e c’è stato un aumento dell’88% dei dinieghi. Ora la domanda è: Dove vanno tutti questi dinieghi? Quando crei irregolarità , aumenti le persone irregolari.“
Perciò, penso io, persone non registrate e di conseguenza INESISTENTI, a piede libero, senza possibilità di entrare in un programma di assistenza. Ci mettiamo in macchina e partiamo per visitare i luoghi e tracciare il percorso che il furgone compirà durante la performance. Silvia, stessi occhi pieni di luoghi e gente li conosce tutti e sa chi c’è e dove.
Percorrendo la Statale 11 ci portano a un distributore di benzina, dove qualche anno fa una donna di origini rumene era stata uccisa. Sarà il luogo nel quale il furgone effettuerà la rituale sosta con il pubblico a bordo, mentre Medea racconterà di quando anche lei era in strada. Il sentimento che ci spinge a portare il racconto di Medea per Strada in giro per l’Italia è sempre quello di voler strappare la cortina di indifferenza dagli occhi degli spettatori andando a visitare luoghi significativi: una provocazione.
Aprire il sipario su questi scenari ha lo scopo di combattere l’ignoranza che genera paura, che alimenta le infuocate opinioni pubbliche sui fenomeni sociali, che soffoca il pensiero autonomo, solleva l’indifferenza e l’abitudine a scenari di schiavitù e degrado, impedisce alla coscienza di produrre opinioni individuali, personali, sulla base dei una consapevolezza reale del problema e degli esseri umani che ne fanno parte e che in nessun modo sono soltanto pezzi di un puzzle macabro. Vittorio e Silvia vedranno Medea per Strada dopo una settimana. Dopo la replica ci saranno poche parole tecniche, molti sguardi, un bel silenzio.
Vorrei che Medea servisse anche a questo, a comunicare su un piano diverso, quello che in teatro si chiamerebbe “verticale”. Entrare nel mondo di un assistente sociale è sempre un rischio, va fatto in punta di piedi, perché c’è sempre da parte loro un istinto a difendere un territorio già fragile: quello della sofferenza che vedono ogni giorno. Un territorio già troppo frainteso dall’opinione pubblica, troppo commentato sui social network, troppo violentato dagli sfruttatori, troppo abbandonato da chi vive tranquillo nel proprio giardino. Lui mi regalerà un cd, una copia di Terra di Mezzo di Matteo Garrone, un film di parecchi anni fa, che vedrò con lo stomaco sotto sopra a casa qualche giorno dopo. Quel regalo lo associo a quegli occhi.
Elena