Caterina Piccione su Il Pickwick 28-10-18
Siamo abituati a pensare allo straniero come a colui che sta al di là confini, che tenta di superarli o che ci guarda ostile dalla torre nemica. Non si parla d’altro, oramai, che di quest’entità fittizia, lo straniero, come colui che viene da fuori e contro, come un’alterità pericolosa per la vita. Non si capisce che in fondo è di questo che si tratta, sempre, della vita, del tentativo di tenersi in vita, in un modo o nell’altro. Non si capisce che in fondo si tratta di sfidare la morte, che è l’unica vera alterità, estraneità da capogiro che ci aspetta, tutti, al confine.
È una sfida a colpi di risate, lacrime e passi di danza quella che conduce Gianpiero Borgia in Cabaret Sacco & Vanzetti basato sul testo di Michele Santeramo. In questo spettacolo è possibile leggere una ridiscussione radicale della categoria dello straniero, e dell’estraneità in tutte le sue forme, con una delicatezza capace di toccare il gioco e la tragedia, la disperazione e la verità.
Freud utilizza un termine, das Unheimliche, comunemente tradotto con “il perturbante”, per indicare una particolare modalità dell’estraneità. Si tratta di un aggettivo sostantivato della lingua tedesca, che si compone del prefisso privativo “un” e della radice “heim”, da cui deriva anche l’inglese “home”. Das Unheimliche indica ciò che non è familiare, o meglio, la scoperta di un’essenziale estraneità al cuore di ciò che a prima vista sembrerebbe assolutamente familiare.
Das Unheimliche, il perturbante, agita e percorre la scena di Sacco & Vanzetti in lungo e in largo. Gli spettatori sono accolti in sala da una luce fredda che illumina reti di letti in acciaio, appese ad incorniciare la scena. Niente è più familiare di un letto, così come niente è più straniante di quest’immagine: letti sventrati, che hanno perso la morbidezza del materasso, ridotti allo scheletro, rialzati dalla familiare posizione orizzontale, sospesi verticalmente. Oggetti apparentemente familiari, di riposo, vengono riconvertiti in figure minacciose e inquietanti.
Questa scena perturbante ospita vari livelli di estraneità. Innanzitutto, quella che è movente della storia. I protagonisti sono “stranieri, italiani”. Termini urlati insieme, come una stessa cosa. “Stranieri, italiani” in questa vicenda sono due sinonimi, non due contrari. È importante ripeterlo, è urgente ricordarlo oggi. Sacco e Vanzetti sono stati condannati a morte per questo, non per quello che hanno fatto, ma per quello che sono: “stranieri, italiani” – oltre che “anarchici”, compagni del pensier libero. Anche la parola “anarchia” è sempre urlata, come si urla la verità, la lotta e l’amore. Quella di Sacco e Vanzetti è anche una storia di fedeltà, poiché non smettono di essere stranieri, italiani e anarchici, dentro tutti i meandri della tragedia si tengono stretti ai loro ricordi, stretti ai loro ideali. Con una grande prova di sensibilità attorale, Valerio Tambone e Raffaele Braia ci restituiscono questo anelito inesauribile di libertà.
Inoltre, Das Unheimliche, il perturbante, si materializza in scena nel linguaggio del cabaret, presente sin dal titolo dello spettacolo. Le musiche di Papaceccio MMC e Robera Carrieri vengono cantate e danzate lungo tutto il racconto di scena. La presenza del cabaret si può leggere in molti modi. Potrebbe apparire come uno strumento per alleggerire la drammaticità senza scampo dei sette anni in prigione di Sacco e Vanzetti. Si balla come per andar dietro al disperato bisogno di distrarsi, di non pensare al destino, di non impazzire. Il cabaret sembra talvolta riflettere il ritmo dei pensieri e creare un movimento nell’assoluta stasi del carcere. Infatti, questo spettacolo riesce nell’impossibile impresa di raccontare la prigione, luogo dell’estraneità per eccellenza. Nelle celle si è costretti a vivere, ossia a svolgere quotidianamente la propria vita, eppure il carcere è il contrario della casa. Ecco allora che l’insinuarsi del cabaret nella prigione ne evidenzia le contraddizioni, creando una sorta di cortocircuito del senso. La musica sembra promettere lo svago, eppure, al contempo, un cabaret in prigione è quanto di più perturbante ed estraneo si possa immaginare. Tale cortocircuito, che si sviluppa in maniera molto naturale e credibile in scena, ha un risvolto profondamente amaro e sottolinea il senso dell’assurdo che percorre la storia di Sacco e Vanzetti. Il cabaret segue una direzione parodistica, nella descrizione dettagliata della vicenda storica, narrata in scena alternando i registri della cronaca e della narrazione, da cui risulta un’immagine della giustizia che è parodia di se stessa. La politica si confonde con l’avanspettacolo. La presenza di elementi comici nella cornice tragica è un ulteriore momento dell’estraneità. Sull’orlo commovente fra tragedia e gioco, in questo spettacolo ritorna l’invito “sorridi, gli innocenti sorridono”. Espediente ingenuo, il sorriso sta in bilico fra il tentativo disperato di salvarsi e il disincanto dello svelamento delle dinamiche feroci della sedicente giustizia.
La presenza del cabaret tiene insieme lo svago, lo scampo, l’amarezza, l’assurdo, la parodia, ma anche, paradossalmente, pur nella leggerezza del linguaggio musicale, si profila come un canto di rivolta. I passi di danza sono passi di guerra, di rabbia e di sfogo. I ritornelli che ritornano, come ritorna il tempo sempre uguale della prigione, sono armi di battaglia al potere e al destino. Potere e destino da sempre vanno di pari passo, poiché il potere ha tutto l’interesse a creare l’illusione di un destino immutabile, di un regime dell’identico, entro il quale non vi è spazio per possibilità altre. Anche quando il regno della pubblicità promette mille possibilità fra cui scegliere, in realtà non fa che chiedere quale schiavitù si preferisce comprare. Di contro a tutto questo, Sacco e Vanzetti inventano una libertà finanche nella schiavitù della prigione e ci mostrano che la corrente può sempre saltare e trasformarsi in solletico. In questo modo, assolutamente inquietante, Cabaret Sacco & Vanzetti riesce a disinnescare il destino e a svelarne i trucchi. Il potere è un trucco, e non vincerà, neppure se la corrente ritorna e li uccide, neppure se alla fine arriva quell’estraneità radicale che è la morte. Perché, ben al di là della morte, risuona ancora oggi l’amore con cui si urla l’anarchia, risuona ancora oggi quella risata, sempre la stessa, che vi seppellirà.
È una sfida a colpi di risate, lacrime e passi di danza quella che conduce Gianpiero Borgia in Cabaret Sacco & Vanzetti basato sul testo di Michele Santeramo. In questo spettacolo è possibile leggere una ridiscussione radicale della categoria dello straniero, e dell’estraneità in tutte le sue forme, con una delicatezza capace di toccare il gioco e la tragedia, la disperazione e la verità.
Freud utilizza un termine, das Unheimliche, comunemente tradotto con “il perturbante”, per indicare una particolare modalità dell’estraneità. Si tratta di un aggettivo sostantivato della lingua tedesca, che si compone del prefisso privativo “un” e della radice “heim”, da cui deriva anche l’inglese “home”. Das Unheimliche indica ciò che non è familiare, o meglio, la scoperta di un’essenziale estraneità al cuore di ciò che a prima vista sembrerebbe assolutamente familiare.
Das Unheimliche, il perturbante, agita e percorre la scena di Sacco & Vanzetti in lungo e in largo. Gli spettatori sono accolti in sala da una luce fredda che illumina reti di letti in acciaio, appese ad incorniciare la scena. Niente è più familiare di un letto, così come niente è più straniante di quest’immagine: letti sventrati, che hanno perso la morbidezza del materasso, ridotti allo scheletro, rialzati dalla familiare posizione orizzontale, sospesi verticalmente. Oggetti apparentemente familiari, di riposo, vengono riconvertiti in figure minacciose e inquietanti.
Questa scena perturbante ospita vari livelli di estraneità. Innanzitutto, quella che è movente della storia. I protagonisti sono “stranieri, italiani”. Termini urlati insieme, come una stessa cosa. “Stranieri, italiani” in questa vicenda sono due sinonimi, non due contrari. È importante ripeterlo, è urgente ricordarlo oggi. Sacco e Vanzetti sono stati condannati a morte per questo, non per quello che hanno fatto, ma per quello che sono: “stranieri, italiani” – oltre che “anarchici”, compagni del pensier libero. Anche la parola “anarchia” è sempre urlata, come si urla la verità, la lotta e l’amore. Quella di Sacco e Vanzetti è anche una storia di fedeltà, poiché non smettono di essere stranieri, italiani e anarchici, dentro tutti i meandri della tragedia si tengono stretti ai loro ricordi, stretti ai loro ideali. Con una grande prova di sensibilità attorale, Valerio Tambone e Raffaele Braia ci restituiscono questo anelito inesauribile di libertà.
Inoltre, Das Unheimliche, il perturbante, si materializza in scena nel linguaggio del cabaret, presente sin dal titolo dello spettacolo. Le musiche di Papaceccio MMC e Robera Carrieri vengono cantate e danzate lungo tutto il racconto di scena. La presenza del cabaret si può leggere in molti modi. Potrebbe apparire come uno strumento per alleggerire la drammaticità senza scampo dei sette anni in prigione di Sacco e Vanzetti. Si balla come per andar dietro al disperato bisogno di distrarsi, di non pensare al destino, di non impazzire. Il cabaret sembra talvolta riflettere il ritmo dei pensieri e creare un movimento nell’assoluta stasi del carcere. Infatti, questo spettacolo riesce nell’impossibile impresa di raccontare la prigione, luogo dell’estraneità per eccellenza. Nelle celle si è costretti a vivere, ossia a svolgere quotidianamente la propria vita, eppure il carcere è il contrario della casa. Ecco allora che l’insinuarsi del cabaret nella prigione ne evidenzia le contraddizioni, creando una sorta di cortocircuito del senso. La musica sembra promettere lo svago, eppure, al contempo, un cabaret in prigione è quanto di più perturbante ed estraneo si possa immaginare. Tale cortocircuito, che si sviluppa in maniera molto naturale e credibile in scena, ha un risvolto profondamente amaro e sottolinea il senso dell’assurdo che percorre la storia di Sacco e Vanzetti. Il cabaret segue una direzione parodistica, nella descrizione dettagliata della vicenda storica, narrata in scena alternando i registri della cronaca e della narrazione, da cui risulta un’immagine della giustizia che è parodia di se stessa. La politica si confonde con l’avanspettacolo. La presenza di elementi comici nella cornice tragica è un ulteriore momento dell’estraneità. Sull’orlo commovente fra tragedia e gioco, in questo spettacolo ritorna l’invito “sorridi, gli innocenti sorridono”. Espediente ingenuo, il sorriso sta in bilico fra il tentativo disperato di salvarsi e il disincanto dello svelamento delle dinamiche feroci della sedicente giustizia.
La presenza del cabaret tiene insieme lo svago, lo scampo, l’amarezza, l’assurdo, la parodia, ma anche, paradossalmente, pur nella leggerezza del linguaggio musicale, si profila come un canto di rivolta. I passi di danza sono passi di guerra, di rabbia e di sfogo. I ritornelli che ritornano, come ritorna il tempo sempre uguale della prigione, sono armi di battaglia al potere e al destino. Potere e destino da sempre vanno di pari passo, poiché il potere ha tutto l’interesse a creare l’illusione di un destino immutabile, di un regime dell’identico, entro il quale non vi è spazio per possibilità altre. Anche quando il regno della pubblicità promette mille possibilità fra cui scegliere, in realtà non fa che chiedere quale schiavitù si preferisce comprare. Di contro a tutto questo, Sacco e Vanzetti inventano una libertà finanche nella schiavitù della prigione e ci mostrano che la corrente può sempre saltare e trasformarsi in solletico. In questo modo, assolutamente inquietante, Cabaret Sacco & Vanzetti riesce a disinnescare il destino e a svelarne i trucchi. Il potere è un trucco, e non vincerà, neppure se la corrente ritorna e li uccide, neppure se alla fine arriva quell’estraneità radicale che è la morte. Perché, ben al di là della morte, risuona ancora oggi l’amore con cui si urla l’anarchia, risuona ancora oggi quella risata, sempre la stessa, che vi seppellirà.